GIOVEDI' SANTO
+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 13,1-15)
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Parola del Signore
«Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi», dice Gesù all'inizio della sua ultima cena. Vogliamo stare vicino a Lui questa sera, fargli compagnia. Le parole che aveva da dire le aveva dette tutte. S'aggrappò ai gesti. Prese un pane, si mise dentro: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo» (Mt 26,26). Lui, entrò nei loro petti: "Mangiatemi!". Lo fecero e quei petti villosi e tremanti divennero tabernacoli di Gesù. Il loro cuore divenne una pisside. Non s'era mai udito prima di allora un simile prodigio: stringere così forte l'Amato da masticarlo, facendone cibo per i propri denti.
Nel racconto del banchetto Gesù aveva detto: "fate questo in memoria di me". E perché il gesto rimanesse nella memoria dei discepoli, Gesù "si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto". Otto azioni elencate con cura! Era, quello di Gesù, il gesto del servo che conosce la stanchezza di chi ha camminato a lungo per strade disagiate e polverose. Ma perché proprio dai piedi? Questa sera, i nostri piedi, sono nelle mani di Gesù. Così come sono, senza prelavaggi. Lui conosce il nostro cuore, sente vibrare le nostre preoccupazioni, i sogni, i disincanti e nostri dolori, conosce la nostra sete di verità e le povertà quotidiane del nostro vivere. I piedi. Da quella sera i ruoli si sono invertiti: il Signore è diventato servo e io signore. Più avanti spiegherà quel gesto: non vi chiamo più servi ma amici. L’amicizia è fuori da logiche di alto e basso. Proprio perché all’amico sta a cuore il bene dell’altro, Gesù accetta di mettersi a servire. Ecco la reazione di Pietro: tu lavi i piedi a me? Dio in ginocchio! No, Signore, non è possibile. Il piede non ha nulla di bello. Pietro ritira il piede – "Tu non mi laverai mai i piedi in eterno" – non per protesta, ma per rispetto. Perché i miei piedi, anche se raccontano di lunghi viaggi, di estenuanti peripezie, di qualche carezza amorosa, sono sporchi. Solo la mamma, finchè siamo piccoli nelle sue mani, li ha accarezzati e puliti con tanto amore. Non sono i piedi profumati dei piccoli che ti vien voglia di mangiarli… Il Maestro staziona, invece, su piedi: unghie incarnite, alluci sbiaditi, dita sporche e odorose per il troppo peregrinare. Li lava e si professa Signore. Pietro pescatore, uomo d’acqua, da quell’acqua vuole strappare via Gesù: “non mi laverai mai i piedi”.
“Se non ti laverò, non avrai parte con me” (Gv 13,8-9). Una confidenza tra due amici ancora una volta scritta sull’acqua. Pietro capisce che quel gesto significava ben altro: lasciati amare come Dio ha scelto di amarti, non già come tu avresti preferito. Lasciati amare a partire dai piedi. L’amore inizia proprio dai piedi. Difficile farsi amare a partire dai piedi. Lavare i piedi significa lavare tutti i percorsi di quei piedi. Nulla di noi è indegno del suo amore. Tutto di noi è amabile dal momento che l’amore del Signore arriva fino all’estremo. Il gesto che Gesù compie ricorda che per farsi servi è necessario uno spogliamento. L’altro lo si incontra in profondità nella misura in cui deponiamo difese e corazze assunte a protezione. Ma l'acqua non basta, i piedi bagnati possono farsi scivolosi. Li asciuga con un panno: che nessuno dica che il servizio è stato approssimativo. Poi li bacia: in vita sua ha mostrato che non ci può essere amore senza esagerazione.
«Sapete ciò che vi ho fatto? - dice alla fine della lavanda. - Voi mi chiamate Maestro e Signore. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,12-15). Il mondo educa a stare sopra ed esorta tutti a restarci. Il Vangelo del giovedì santo esorta i discepoli a chinarsi e lavarsi i piedi gli uni gli altri. È un comando nuovo. E’ un grande dono che questa sera riceviamo. È una via che viene dal cielo, eppure è la via più umana che possiamo desiderare. Tutti, infatti, abbiamo bisogno di amicizia, di affetto, di comprensione, di accoglienza, di aiuto, di tenerezza. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si chini verso di noi. Il giovedì santo è davvero un giorno umano: il giorno dell'amore di Gesù che scende in basso, sino ai piedi dei suoi amici. Prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Fate questo in mia memoria. Il mandato di Gesù, legato a questo panno che dice servizio. Questa sera ci portiamo nel cuore questo umile oggetto.
L’acqua e il panno: quasi ottavo sacramento.
Lo senti lo sciaquìo che lava, canto di purificazione
Lo senti l’umile panno che asciuga piedi e lacrime,
grembiule che dal basso ti serve ed onora.
Panno-servizio: impegno per dare verità al cibarci di Lui.
Panno-servizio che ti raggiunge, tutti unisce e protegge
e lega nel gioioso, reciproco dono che ci fa essere con Lui,
cuore che ascolta, carezza che conforta, parola di speranza.
Un Pane e l’asciugamano. Dono-memoria di Gesù.
Pane per nutrirci, panno per dire servizio
che asciuga lacrime, protegge, avvolge.
Ce lo portiamo a casa. Cara memoria e generoso impegno.
VENERDì SANTO
Abbiamo colto il messaggio evidente della passione secondo Giovanni. Essa è preceduta dal lento e abbondante fluire dell’unguento profumato sul capo di Gesù, unto con gesti delicati e solenni di Maria nella casa di Lazzaro, Marta e Maria gli amici di Betania.
Gesù stesso, in quella esagerata unzione invita ad entrare con lui nella logica dell’amore esagerato, senza calcolo né limiti. Ieri sera, nella celebrazione della Cena del Signore, nell’acqua versata da Gesù nel catino per lavare i piedi dei discepoli, abbiamo intravvisto l’immagine, il simbolo dell’amore di Gesù che lo porterà ad abbracciare la croce: dalla più grande umiliazione, come uno schiavo ai piedi dell’uomo, alla massima esaltazione: “io quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me”. Appeso al legno, maledetto e abbandonato, mentre ogni membro del suo corpo si contorce negli spasmi della morte, ed ogni fibra urla l’atrocità di una sofferenza senza uguali e di un amore mai prima sperimentato. Gesù pronuncia la sua ultima parola: “Tutto è compiuto”. Alla morte cruenta sulla croce c’è qualcosa da aggiungere perché la misura sia colma: il dono dello Spirito. “E chinato il capo emise lo Spirito”. A noi dona quella pienezza di Spirito che abita in lui. Il suo ultimo respiro è una vera e propria effusione di Spirito, una vera e propria Pentecoste, attraverso la quale è rinnovata la faccia della terra.
“Tutto è compiuto” Ecco il culmine, la pienezza, il sovrabbondante amore che trabocca. Dal suo petto squarciato esce l’acqua simbolo dello Spirito. E’ l’ora. Adesso sì, le anfore sono colme fino all’orlo, ma non di amarezza e di dolore, non di angoscia e di pianto, non di sangue e di morte, ma della gioiosa ebbrezza dello Spirito. Da quelle anfore colme tracima e gorgoglia non un triste ed oscuro effluvio di morte, ma l’acqua che zampilla per la vita eterna, un’acqua che feconda e fa fiorire la terra, un’acqua che risana, è sorgente di speranza. Non siamo qui come discepoli delusi e colmi di amarezza, ma come nuove creature che lo Spirito ha reso riempiti della vita divina. Siamo ancora una volta, tutti insieme sotto la croce per lasciarci inondare da una luminosa fragranza, perché sul nostro capo scorra lenta e abbondante l’unzione dello Spirito. Adesso sì, tutto è davvero compiuto!
Adesso sì, le anfore sono davvero colme fino all’orlo.
E possa alfine riposare anch’io
così come sono,
ladrone di sinistra
alle braccia della tua croce,
estremo rifugio
dimora a un condannato a morte.
E ancora concedimi
per grazia
di riposare stanco
alla porta socchiusa del regno.
In un’ora o in un’altra
- io lo sento -
tu uscirai.
SABATO SANTO Veglia pasquale
Siamo vivendo, in questa notte santissima, il racconto della nostra vicenda. Natura e storia per raccontare e far vivere l’esperienza. Tutti gli elementi della natura sono coinvolti per raccontare l’evento, la nostra realtà fatta nuova da Gesù. La notte più buia diviene grembo: un bagliore ed ecco fuoco, danza festosa, scoppiettio di scintille, sviluppo di arabeschi fantastici che disegnano nel buio ricami di luce. L’acqua diviene grembo materno della nuova vita che nasce. Non più lumini che mesti accompagnano una processione funerea, ma nella notte ecco il vivo brillare di luci di un popolo in cammino verso la festa. Nella notte il canto di vittoria: Cristo è risorto. O notte veramente beata. Notte più chiara del giorno, che porti l’anima di ogni aurora. E poi la storia. Abbiamo riascoltato la nostra storia, la bella storia del venire di Dio tra noi continuamente. Il suo venire a correggere gli sbandamenti umani. Abbiamo ascoltato il Vangelo. Parla cose ormai passate per annunciare nuovo futuro. Ci sono donne che camminano il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Non conoscono il sonno, perché nei loro unguenti c'erano più lacrime che mirra e aloe, perché il panno per asciugare il volto di Gesù era cucito di silenzio. E in quello sguardo che accarezza il vuoto del sepolcro se ne stanno racchiusi sogni, attese e fatiche: Lui, dal sepolcro, sbirciò fuori. Capì che il modo migliore per venirne fuori da quella tomba, era di buttarsi dentro quei cuori vuoti. Il vuoto, dopo quella notte, non sarebbe più stato un problema: i vuoti fanno paura solamente a chi li vuol riempire a tutti i costi. Lui li lasciò vuoti abitandoli: scoprì d'avere ancora sete della loro sete. D'ora innanzi, non esisterà più nessuna notte tanto lunga da impedire al sole di risorgere. Le due donne vanno, nel giorno nascente, al sepolcro. Ma nel momento in cui l’alba ruba spazio alla notte le donne sono tornate per cercare Lui, il Maestro in qualunque modo vi voglia mostrare. Loro, quelle donne, sono aperte alle meraviglie dell’impossibile. E l’impossibile accade: è il levar del sole, è il giorno delle pietre del sepolcro rotolate. Anche le tue. Cristo è risorto! Gesù risorto asciuga le lacrime. Fiorisce il sorriso sui volti. Anche le nostre morti quotidiane sono sconfitte: tutto lievita di risurrezione e fermenta il destino eterno. No. Non si sbaglia il nostro cuore a ribellarsi al dolore e sognare serenità e pace. Gesù è risorto! Non vengono risolti i problemi in modo miracolistico. E’ la fede, è la certezza della sua presenza che apre i nostri occhi. Nasce un mondo nuovo. Nella nostra piccola storia, fatta di perenne inquietudine che sempre ci prende, ci accorgiamo di essere cavità che sempre può riempirsi di meraviglia sempre nuova:
Lui nostra speranza, gioia, futuro. Allora apri il volto al sorriso. Scorgi il bello e il buono che c’è accanto a te. Cristo è risorto! L’annuncio gioioso fiorisca sui nostri volti e sia testimoniato dalla vita. E’ il reciproco augurio che ci doniamo. E’ il nostro impegno. La Pasqua esploderà. In pienezza. Il Dio della vita ci farà respirare pace e gioia nel Vivente risorto.
don Guido