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Una liturgia che «dice» il mistero

 

La struttura rituale, necessaria, dovrebbe aiutare a vivere l'esperienza dell'incontro comunitario con il Signore che vuole donare senso alla vita, nel gesto supremo che è fonte e culmine di tutta la vita della Chiesa.

La celebrazione ha bisogno di celebranti che credano nella necessità e nell'efficacia di coordinare e condurre gli itinerari simbolici complessi, che operano la trasformazione dei partecipanti in discepoli di Gesù e membri di una comunità, che si sa abitata da Cristo risorto che realizza l'alleanza con il Dio vivente. In questa prospettiva non c'è nulla di trascurabile: il segno di croce è altrettanto importante dell'elevazione dell'ostia. La calma con la quale si recita un'orazione è altrettanto importante del tono convinto dell'omelia. Il rito può diventare vuoto ritualismo, parole e gesti ridotti a qualcosa di sciatto e banale: il modo di incedere, di salutare l'assemblea, di sorreggere il calice, di porgere la mano... tutto può essere o semplice gesto o divenire messaggio di qualcosa di Oltre e di Altro. La liturgia non è teatralità, ma essendo rappresentazione, il modo di realizzarla non è secondario.

Stili per dire il mistero

Possiamo sintetizzare una galleria di modelli o stili di celebrazione, incarnati nella figura del sacerdote presidente dell’assemblea.

  • L'intimistico. E’ frequente in coloro che nella celebrazione mettono una grande devozione personale. Tutta la loro attenzione è centrata in Dio. I presenti contano poco; che ci siano o no, cambia poco. La liturgia è anzitutto culto reso a Dio.

Tale modo di celebrare può favorire il raccoglimento ma, oltre certi limiti, esso può tradire il valore comunitario della liturgia. 

  • Lo ieratico. Ogni più modesta celebrazione diviene un pontificale: l'incedere solenne, il parlare aulico, la teatralità nel compiere anche il gesto più semplice...

Se si sa temperare la giusta gravità con doti di profonda umanità e partecipazione, tale stile può risultare efficace, soprattutto nelle celebrazioni solenni.

  • Il rubricistico. E’ lo stile formalmente impeccabile e perfetto del cerimoniere. Le rubriche sono eseguite alla lettera. Ogni interpretazione o elasticità, che adatti all'assemblea le norme, è rigorosamente vietata. Capiti quel che capiti, non si cambia nulla del programma.

Le rubriche sono di grande utilità per una celebrazione dignitosa. Il Messale indica per tutti gli elementi la funzione. E' importante farla funzionare per servire l'assemblea concreta che celebra.

  • Il tuttofare. E’ il presidente che fa tutto. Prega, legge, intona, accende i ceri, controlla il funzionamento del microfono, lo aggiusta sulla bocca del lettore, richiama i ragazzi che disturbano...

Purtroppo nelle chiese di piccole parrocchie c’è scarsità di aiuti. Il presidente saprà trovare il modo di rimediarvi senza compromettere la dignità del suo ruolo.

  • Lo sportivo. Va all'altare come al campeggio, con l'aggiunta di qualche accessorio sacro mal sopportato. Scarpe da tennis ai piedi, camicia a scacchi in bella vista sotto il camice, movimenti rapidi e agili su e giù per i gradini dell’altare e della sede. 

Se lo spontaneismo nuoce alla celebrazione, la naturalezza Può aiutare la partecipazione ad essa. 

  • Il demagogicocameratesco. Vive la celebrazione come un simpatico incontro fra amici, nel quale ci può essere anche il posto per una pacca sulle spalle. Esortazioni e rimbrotti, battute al limite del buon gusto, riprende pubblicamente e per nome, indica a dito, sbraccia…

Anche qui la giusta moderazione e attenzione ai partecipanti sapranno suggerire l’atteggiamento più corretto.

  • L'irrequieto. E’ colui che ritiene un dovere di inventare sempre qualcosa di nuovo. Le liturgie diventano una girandola di innovazioni, che dovrebbero aiutare a penetrare più profondamente nel mistero, ma che finiscono per disorientare i fedeli, anche i meglio disposti.

Un'autentica creatività nasce dal rispetto dei due poli della celebrazione che il celebrante deve rispettare: fedeltà al mistero celebrato espresso da questo rito e fedeltà a questa assemblea concreta che celebra.

  • Il normale. E’ lo stile di chi celebra il rito consegnato dalla tradizione, ma che ormai sa di stanco e consueto. Si mette in atto una liturgia, convinti che qualcosa il Signore farà, nonostante si prenda atto che tale liturgia non esprime il legame con la vita concreta e non offre la freschezza della salvezza celebrata.

E’ necessario riscoprire la perenne novità del dono di Dio che sempre ci raggiunge, nonostante la ripetitività e la stanchezza delle nostre liturgie.

Nel presentare la galleria di stili di celebrazione si è calcato per evidenziare gli atteggiamenti che possiamo assumere e nei quali poco o tanto ci ritroviamo. Celebrare è dire con linguaggio umano realtà ed esperienze che ci superano. E’ allora importante trovare la modalità migliore per parlare dell'Altro dell'Oltre, riscoprendo le strutture ed il funzionamento del nostro comunicare.

Un linguaggio per dire la vita

Il linguaggio che noi usiamo per comunicare è vario: parole, cose, gesti... Questi non sono soltanto 'oggetti', ma diventano un'azione interpersonale: io dico, mi servo di,  faccio questo perché l'altro mi capisca. E i linguaggi sono molteplici: formula matematica, conversazione, racconto di una bella esperienza, di una disgrazia, dialogo d'amore, disegno, scultura... Questo perché viviamo esperienze diversificate e le comunichiamo con altrettanti mezzi espressivi, ritenuti da noi adeguati per esprimere quanto viviamo.

Usiamo il linguaggio logicorazionale: è quello del parlare comune, della ragione, della scienza. Definisce in modo chiaro, non interessa i sentimenti.

C'è il linguaggio simbolico: quello che usiamo quando vogliamo comunicare esperienze che ci toccano nel profondo (dolore, emozione, amore). Usiamo paragoni, ci serviamo di cose, parole, azioni che non pretendono definire, ma introducono chi ci ascolta nell'esperienza da noi vissuta. «II simbolo non dice solo una verità, ma mette insieme (symbàllo) una verità e una storia, un'idea e una memoria, un progetto e una speranza. Ciò che la parola può dire solo con un faticoso accumulo di parole, il simbolo lo dice in una sola volta» (CONSIGLIO DELL' AssociAzioNE PROFESSORI E CULTORI Di LITURGIA, Celebrare in spirito e verità. Sussidio teologicopastorale per la formazione liturgica, Ed. Liturgiche, Roma 1992, n. 33).

Un linguaggio per dire il mistero

Il mistero di Dio è per se stesso ineffabile. Eppure Dio ha voluto manifestare se stesso, comunicarsi all'uomo. Non l'ha fatto con definizioni, poiché la sua realtà è così ricca che nessuna espressione sensibile può dire quello che egli è. Ha usato il simbolo: «Il regno dei cieli è simile a ... »; «Io sono la luce del mondo...». L'espressione, uguale per tutti, evoca in ciascuno un'esperienza personalissima, unica e irripetibile legata a tali parole. Da quando l'eterna parola di Dio si è fatta carne, ogni carne può intenderla e trasmetterla: e alla parola umana è dato farsi eco dell'eterna parola di Dio. Nella celebrazione incontriamo Gesù Cristo che salva l'uomo, assumendo fino in fondo la realtà umana, redimendola.

«La liturgia, infatti, in quanto opera di Cristo e della Chiesa, è il luogo dove il divino e l'umano vengono a contatto fra di loro, affinché il divino salvi ciò che è umano e l'umano acquisti una dimensione divina. Per questo, se la comunità cristiana è composta di uomini, per cui la gioia e l'angoscia dell'uomo di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono anche la gioia e la speranza, la tristezza e l'angoscia dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di autenticamente umano che non trovi eco nel loro cuore, sarà allora evidente che non solo riceveranno accoglienza nella liturgia, ma di questa «costituiranno il corpo e anima, poiché non esiste salvezza che non sia storica, concreta, totale.

In una liturgia disincantata, nessun uomo concreto, storico, potrebbe mai ritrovarsi, né Dio potrebbe mai apparirgli veramente 'salvatore', perché una salvezza deve essere proporzionata al pericolo che si corre o che ci minaccia» (CEI, Commissione EPISCOPALE PER LA LiTURGIA, Il Rinnovamento Liturgico in Italia. Nota pastorale a vent'anni dalla Costituzione conciliare "Sacrosanctum Concilium", n. 23). La celebrazione cristiana rende viva e operante l'incarnazione. Si serve di elementi della vita di ogni giorno, li abbraccia con una sguardo contemplativo e li trova carichi di un messaggio ulteriore, profondo. I gesti, gli spazi, le cose della vita di ogni giorno divengono sacramenti dell'incontro con il Risorto che fa nuove tutte le cose. Fiorisce la celebrazione: un'assemblea radunata nel nome di Cristo; un tempo particolare in cui le gioie, le angosce e le speranze dell'uomo ricevono luce dalla Parola; i semplici segni del comunicare dell'uomo vengono trasfigurati nel rito e divengono linguaggio simbolico che realizza l'incontro e la comunione con Dio e gli uomini. Nel tempo, fiorito in memoria, sintesi dei passato, presente e futuro, la storia dell'uomo è salvata da Cristo. Nella celebrazione, è la verità del dire se stessi che esige l'assunzione della vita e la mediazione delle cose dell'uomo.

Alla scuola della Parola, che ci ha parlato «molte volte e in diversi modi», la liturgia si è sempre servita di ciò che l'uomo quotidianamente usa uno spazio per l'assemblea, la parola nelle sue espressioni, gli oggetti, come vestiti, pane, vino, acqua, olio, candela...

I segni della celebrazione

E molto illuminante la riflessione conciliare: «La liturgia è considerata come l'esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo. In essa la santificazione dell'uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra. Perciò ogni celebrazione liturgica è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia» (SC 7). Significata, per mezzo di segni sensibili, culto pubblico, celebrazione, azione sacra: le parole dell'importante documento evidenziano la necessità di porre segni percepibili dai sensi per compiere un'azione liturgica. Tali segni assumono una forza particolare. Essi sono colti come qualcosa di più di un codice puro e semplice per mettere in comunicazione le persone. Possono diventare gesti simbolici, e allora introducono in un'esperienza ricchissima che costituisce il modo corretto per comunicare con Dio.

Il primo segno è l'assemblea che pone in atto le varie modalità di esprimersi. Gli altri segni:

  • Comunicazione non verbale. Si gioca con lo sguardo (in basso, in alto, sul libro), espressione del viso, gestualità del corpo. E’ una comunicazione che sovente viene sottovalutata. E’ importante prenderne coscienza e valorizzarla evitando tutte le contraddizioni.
  • La parola. «Da quando la parola si è fatta carne, ogni carne può intenderla e trasmetterla; e alla parola umana è dato farsi eco e riflesso della Parola eterna di Dio” (Celebrare in…o. c. 10).Si caratterizza in funzione di ciò che si vuole esprimere: introdurre, spiegare, proclamare, lodare, ringraziare, invocare, supplicare, acclamare, professare… A ciò corrispondono le monizioni, lettura, canto, invocazioni, professione di fede, il silenzio.
  • Il canto e la musica.  Elementi importantissimi per un’assemblea che vuole esprimere con maggior efficacia la propria realtà e la festa al suo Signore.
  • Le persone. Segnano la diversità e complementarietà dei ruoli all’interno dell’assemblea.
  • I gesti. Indicano la partecipazione: spostamenti, posizioni del corpo, segni di croce, della pace.
  • Gli oggetti. Funzionali all'azione liturgica, possono caricarsi della valenza simbolica per la forma, il materiale, l’uso ed il modo di manipolarli.
  • Il luogo. La planimetria, le dimensioni, la luminosità, l’aerazione sono variabili che comunicano una certa realtà su Dio e sull’uomo.
  • Il tempo. La durata, l’articolazione, la sequenza dei momenti.

Una sapiente regia favorisce  il superamento di stanchezza e passività. Il rito assume tutti questi linguaggi e li coordina in modo armonico. Esso è la mediazione che rende attuale e presente il dono di salvezza offerto da Cristo. Nel rito la comunità dei fedeli e dei singoli cristiani sono mesi in condizioni di attingere alle sorgenti della salvezza.

La Comunità incontra il mistero

La liturgia è azione del popolo di Dio (OGMR 1); azione comune, corale, la cui efficacia dipende dall'apporto di ognuno. Dal concorso delle varie competenze deriverà la maggiore o minore efficacia della celebrazione.

Non si tratta solamente di un fatto pratico e di efficienza. L’assemblea è realtà viva, sacramentale, icona della Chiesa orante, corpo mistico di Cristo, organismo complesso e articolato, con molte funzioni e servizi.

Espressione dell'azione dello Spirito, che suscita nella comunità doni diversificati per il bene comune dell'unico corpo, fatto di tante membra, l'assemblea è convocazione, sacramento della Chiesa, segno della presenza di Cristo.

Tanti servizi per vivere l'incontro

L’assemblea è visibilizzazione del Corpo di Cristo. E, come il corpo di Cristo, è formata di tante membra. «Nella  celebrazioni liturgiche ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio, si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza» (SC 28).  L’assemblea è allora il soggetto liturgico articolato su una pluralità di ministeri che favoriscono una piena, consapevole e attiva partecipazione dei fedeli (cf OGMR 17, 18, 20, 34 35, 36, 38, 3942, 43, 61, 69, 71, 73, 91, 98-111, 335, 352, 386...).:

  • Ministero della presidenza. Cristo è capo del corpo che è la Chiesa. La sua persona deve esprimere questa presenza con l’atteggiamento, le parole, il silenzio. Il ministro consacrato deve favorire l'espressione e composizione armonica degli altri servizi:
  • Ministero dell'accoglienza. E’ un prezioso servizio che dice il cordiale e fraterno benvenuto di tutta l'assemblea in modo da facilitare il senso di sentirsi a casa, nella casa dell'unico Padre.
  • Ministero della parola. E’ la Parola che convoca il popolo di Dio. I lettori hanno la responsabilità di prestare la voce, l'atteggiamento a Dio che parla al suo popolo e annuncia la lieta notizia.
  • Ministero del canto. Il salmista, il cantore, il coro, gli strumentisti suscitano, sostengono, guidano questa privilegiata espressione comunitaria.
  • Ministri delle offerte. Noti si viene a ricevere il dono di Dio a mani vuote. Alcuni ministri hanno il compito di raccogliere le offerte ed eventualmente amministrarle secondo i bisogni della comunità.

Sono previsti altri servizi. Ogni comunità saprà lasciare lo spazio e stimolare particolari servizi a seconda dei bisogni effettivi dell’assemblea, della capacità e della disponibilità, del significato che in una circostanza concreta un dato ministro può assumere. L’importante è che l’assemblea realizzi se stessa: essere sacramento di Cristo, visibilizzazione della Chiesa e di Cristo.

Perché la festa fiorisca

Liturgia, tempo che diviene memoria. Persone, oggetti, spazio, parole, relazioni, presenze che divengono sacramento, epifania del Mistero e possesso del dono di grazia della salvezza. Sintesi, impasto di divino nell'umano. L’opacità diviene trasparenza, riflesso di luce, quella vera. La vita esplode, in abbondanza, nella riscoperta del senso.  Le cose dell'umile quotidiano dicono l’ineffabile. E ti senti ricreato, fatto nuovo dal Vivente. Risorto. Colui che fa nuove tutte le cose. Fiorisce la festa. E tu, strumento, ministro, servitore del Mistero che viene celebrato.

Per dono di Lui, Dio della storia. Dio della vita. La tua.

 

 

 

 

 

 

 


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