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QUINTA DOMENICA DI PASQUA  anno C

 

+ Dal Vangelo secondo Giovanni 13,31-35

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.  Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri». Parola del Signore.

 

Le letture bibliche di questa domenica enfatizzano la parola «nuovo»: «lo, Giovanni, vidi un nuovo cielo e una nuova terra» (Ap 21, 1-2).  Vangelo: «Vi do un comandamento nuovo».  Nel clima pasquale l'invito è quello di non guardare le situazioni difficili, crisi, malattie, lamento, affanno che sovente abbiamo, ma di ascoltare il desiderio rispetto alla stanca ripetizione degli eventi.  Dopo l'uscita di Giuda dal cenacolo, Gesù apre il suo cuore. «Vi do un comandamento nuovo». Nei confronti del comandamento antico: «Amerai il prossimo tuo come te stesso», in che cosa consiste la novità? Consiste in quel «come io»!  Il «nuovo» nella Bibbia appartiene al mondo di Dio. Cuore nuovo.  Canto nuovo. Nome nuovo. Vino nuovo. Comandamento nuovo.                                                                                                                                 Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Che cos’è l’amore?  A questa domanda non c’è risposta che ci faccia capire questa realtà. Chiedere che cos’è l’amore prevede come risposta una descrizione, una valutazione, un giudizio, un’opinione. La descrizione della realtà non dice cos’è la realtà, soprattutto se questa realtà è troppo umana, densa, come è mistero: la persona troppo ricca per essere definita in alcune parole. L’uomo ha usato il fuoco per milioni di anni senza aver mai avuto il bisogno di descriverlo. All’uomo non serve descrivere il fuoco, serve saperlo usare. Non cos’è l’amore, ma come si fa ad amare è la domanda. Non cos’è il fuoco, ma come si accende il fuoco e come lo si usa è la domanda. Non cos’è l’amore, ma come si ama. Come si fa ad amare? Come io ho amato voi anche voi amatevi gli uni gli altri. Ecco la risposta. Come ha amato Gesù? Nel vangelo c’è scritto in ogni momento come Gesù ha amato. Gesù, poco prima, ha lavato i piedi: un gesto che non significa solo fare atti di umiltà. I gesti di carità, anche eroici, non sono ancora la misura della santità. Amare come lui ti ci ha amati è un tipo di amore (gratuito, disinteressato, universale), che l'uomo da solo non può darselo, può solo riceverlo. Gesù dunque, prima di morire, ci consegna questa pace, con una dolcezza infinita: «Figliolini» («teknìa»: intraducibile!). Non un invito generico: «Vogliamoci bene...».

«Da questo sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».  Non si tratta di una nuova ingiunzione, ma della regola che protegge la vita umana, dove sono riassunti del destino del mondo e la sorte di ognuno: «abbiamo tutti bisogno di molto amore per vivere bene» (Maritain). L'amore umano racchiude sempre in sé una pretesa di eternità. L’amore è un'obiezione alla morte, come ha detto una volta il filosofo francese Gabriel Marcel.  “Amare” è interessarsi veramente a qualcuno.  Essere attenti e dire a una persona: «Ti amo» equivalga a dire: mi rifiuto di accettare la tua morte, protesto contro la morte. Amare qualcuno è rispettarlo com'è, con le sue ferite, le sue tenebre e la sua povertà, ma anche con le sue potenzialità, con i suoi doni forse nascosti; è credere in lui, nelle sue capacità di crescere, è volere che lui progredisca; è nutrire verso di lui una speranza folle: “Non sei perduto; sei capace di crescere e di fare delle belle cose; ho fiducia in te”; è gioire della sua presenza e della bellezza del suo cuore, anche se resta ancora nascosta; è accettare di creare con lui dei legami profondi e duraturi, malgrado le sue debolezze e la sua vulnerabilità, la sua attitudine alla ribellione e alla depressione.  “Amare” significa com-patire.  Dall'amore dobbiamo essere conosciuti. Non dalle devozioni, non dalle preghiere, non dai segni esteriori, non dall'organizzazione caritative, ma dall'amore. deve stare a cuore nella Chiesa.                                                            Celebrando oggi l'Eucarestia, memoria del Risorto, cerchiamo anzitutto di amare di più e meglio, perché chi ci vede si accorga che in mezzo a noi dimora Gesù.  

Il Signore ha bisbigliato qualcosa all'orecchio della rosa,

ed eccola aprirsi al sorriso.

Il Signore ha mormorato qualcosa al sasso

ed eccolo gemma preziosa scintillante nella miniera.

Il Signore ha detto qualcosa all'orecchio del sole,

ed ecco la guancia del sole coprirsi di mille eclissi.

Ma quale cosa mai avrà bisbigliato il Signore all'orecchio dell'uomo,

perché egli solo sia capace di amare e di amarlo?

Ha bisbigliato amore!

 

Una volta un cardellino fu ferito a un'ala da un cacciatore. Per qualche tempo riuscì a sopravvivere con quello che trovava per terra. Poi, terribile e gelido, arrivò l'inverno.

Un freddo mattino, cercando qualcosa da mettere nel becco, il cardellino si posò su uno spaventapasseri. Era uno spaventapasseri molto distinto, grande amico di gazze, cornacchie e volatili vari. Aveva il corpo di paglia infagottato in un vecchio abito da cerimonia; la testa era una grossa zucca arancione; i denti erano fatti con granelli di mais; per naso aveva una carota e due noci per occhi.
«Che ti capita, cardellino?», chiese lo spaventapasseri, gentile come sempre.
«Va male - sospirò il cardellino -. Il freddo mi sta uccidendo e non ho un rifugio. Per non parlare del cibo. Penso che non rivedrò la primavera». «Non aver paura. Rifugiati qui sotto la giacca. La mia paglia è asciutta e calda». Così il cardellino trovò una casa nel cuore di paglia dello spaventapasseri.
Restava il problema del cibo. Era sempre più difficile per il cardellino trovare bacche o semi. Un giorno in cui tutto rabbrividiva sotto il velo gelido della brina, lo spaventapasseri disse dolcemente al cardellino: «Cardellino, mangia i miei denti: sono ottimi granelli di mais».
«Ma tu resterai senza bocca».

«Sembrerò molto più saggio».

Lo spaventapasseri rimase senza bocca, ma era contento che il suo piccolo amico vivesse. E gli sorrideva con gli occhi di noce.

Dopo qualche giorno fu la volta del naso di carota.

«Mangialo. È ricco di vitamine», diceva lo spaventapasseri al cardellino.

Toccò poi alle noci che servivano da occhi. «Mi basteranno i tuoi racconti», diceva lui.

Infine lo spaventapasseri offrì al cardellino anche la zucca che gli faceva da testa.

Quando arrivò la primavera, lo spaventapasseri non c'era più. Ma il cardellino era vivo e spiccò il volo nel cielo azzurro.

Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

don Giuido

 

 

 


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